Anna e Giuseppe

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Buongiorno, parlo col signor Giuseppe?”

Chi parla?”

Lei non mi conosce. Mi chiamo Anna Zerilli. Ho in mano la sua agenda. L’ho ritrovata per caso e sono risalita al suo numero”.

Giuseppe l’aveva persa da almeno una settimana. Non aveva idea dove l’avesse lasciata. Sapeva solo che si era preso un enorme dispiacere. Per questo era stato nervoso, anche se a Teresa non aveva detto nulla. L’agenda non era solamente piena di indirizzi e di numeri di telefono che ad ogni anno aveva accuratezza di trascrivere quando conservava quella vecchia, ma era una miniera di appunti, alcuni anche strettamente personali. Non solo valutazioni e note prese per ragioni di lavoro, profili di studenti, programmi di corso, ma riflessioni sul mondo e sulla sua vita personale. L’idea che potesse essere andata a finire in mani sconosciute lo infastidiva non poco, ma nel frattempo il pensiero che l’avessero ritrovata gli aveva dato un grande sollievo.

Grazie. E’ importante per me” affermò, “l’ho cercata per terra e per mare e pensavo di averla lasciata a scuola, dove lavoro, ma non sono riuscito a trovarla, nonostante abbia messo sottosopra l’istituto. Se mi dice dove posso venirla a ritirare…”

Ma lei recentemente è stato al cimitero di Buona Speranza?” domandò Anna

No. Non ci sono stato se non una volta anni fa, per un funerale… Ma che c’entra con l’agenda?”

Beh” replicò Anna, non sapendo come dirlo “c’è che la sua agenda era poggiata sulla tomba di mia mamma”

Giuseppe rimase senza parole dall’altro capo del telefono. Stupito dall’affermazione di Anna, cercava di pensare come fosse potuta andare a finire in un cimitero e per di più sopra una sepoltura di una persona a lui sconosciuta.

Pronto? C’è ancora?”

Si, certo, sono qui” rispose Giuseppe. “Non so come sia potuta andare a finire sopra la sepoltura di sua madre. Mi dispiace se le ha creato dei problemi, ma io non sono stato in quel cimitero, glielo assicuro”

Guardi che per me non è un problema” provò a spiegare Anna, “anzi mi deve scusare se ho sbirciato un po’ fra le sue cose. Era indispensabile per capire di chi fosse l’agenda.”

No, ma si figuri” la rassicurò Giuseppe, cercando di ipotizzare cosa la donna potesse avere letto.

Anna aveva portato l’agenda a casa ed aveva trascorso l’intera notte a leggere i suoi appunti. Aveva trovato delle poesie e altri scritti che non era stata bene in grado di comprendere, di decifrare, ma le parole lette l’avevano incuriosita non poco.

Alla data del 22 novembre c’erano questi appunti: Tutti gli uomini in ginocchio canteranno una lode alla tua bellezza. Ti chiederanno di amarli, ammirarli, di capirli, consolarli. Sfruttali i bastardi finché ti inseguono. Ma non svendere mai cio che sei, anche se la vita è breve, pure se ti tenta. Chi ti vuole se lo meriti ed esca fuori l’amore, se lo conosce, e se non sa cosa sia ti copra d’oro per il resto dei tuoi giorni.”

Ed ancora il 15 gennaio: Ho appena finito di rivedere il film di Philip Groning “Il grande silenzio”, che racconta la vita dei Certosini che vivono all’interno della “Grande Chartreuse” a Grenoble. Ricordo che il film mi impressionò talmente da avermi spinto ad andare per ben due volte a visitare i luoghi, nell’illusione di “perdermi” nell’atmosfera religiosa di quell’angolo di Francia.

Scappare in una vetta o rifugiarsi in un eremo è la soluzione?. O lo specchio di nuovi luoghi riflette sempre noi stessi, con gli stessi problemi, le identiche paure, la medesima confusione?

L’essenziale non è da qualche parte nel mondo, ma è dentro di noi. Anche se non è facile avventurarsi. Anche se, a volte, il buio impedisce il cammino.

Siamo simili e tutti siamo impegnati nello scopo di essere pienamente umani. Per questo sono più di trenta anni che leggo libri che mi aiutino a comprendere la gente, che mi diano una visione quanto più completa dei sentimenti dell’uomo. Che siano giuda alla comprensione di me stesso, dei miei errori.

Continuo imperterrito lo stesso lavoro per cercare di essere una persona migliore. Ed ho ancora tanto da imparare.

Leggo, ascolto, cerco di capire. Sottolineo, ricopio, aggiungo del mio. Impasto idee ed emozioni per ottenere un’alchimia che mi dia una ragione concreta di esistere, un’alternativa alla dissoluzione del comune sentire. Si tende sempre a nascondere la parte migliore di sé per timore di essere vulnerabili, non abbastanza uniformati al sistema prevalente attraverso cui si “comunica”.”

Giuseppe era sicuramente una persona complessa e questo aspetto degli uomini se da un lato l’attirava, dall’altro la impauriva. Anna era sempre in guardia quando si trattava di maschi. Si chiedeva sempre dove stesse la fregatura e a che punto sarebbe spuntata.

Avere letto gli appunti di Giuseppe, le sue poesie, averlo potuto scrutare nell’intimo, le aveva dato l’opportunità, che lei riteneva essere un privilegio, di poter sfogliare le immagini del suo libro, senza che queste fossero alterate artatamente, con abilità avveduta, con l’inganno, subdolamente sostenute da una volontà di finzione o da altro genere di arzigogolamenti cui gli uomini erano usi quando desideravano fare colpo in una donna.

Anna aveva un passato di vita omosessuale, iniziato durante l’adolescenza e poi protrattosi negli anni, senza che questa sua “condizione” si trasformasse in scelte di vita definitive. La sua magrezza e quell’aspetto leggermente mascolino, accentuato da un taglio di capelli corvini decisamente corto, avevano contribuito a dare ad Anna un’immagine di se stessa priva di femminilità, mentre così non era, e la prova consisteva principalmente nell’interesse che destava nei maschi. Aveva mani lunghe e la pelle bianchissima, gli occhi azzurri e i capelli a metà orecchio, con una frangetta lunga, dritta e spettinata. Alta, dal collo elegante, con spalle magre e larghe, era molto spesso corteggiata. In qualche occasione non aveva disdegnato di avere delle brevi storie con gli uomini dei quali però si stancava subito, ritenendo il “genere maschile” talmente diverso dal suo modo di essere, di sentire, lontano anni luce dalla sua sensibilità, da indurla a ritenersi incompatibile. E per quanto l’aspetto sessuale del suo rapporto con i maschi non la infastidisse, come invece accadeva a tante sue amiche gay, non riteneva sufficiente questa componente a controbilanciare tutto il resto.

Se c’era un aspetto che detestava nei maschi era proprio la loro necessità di doverci provare sempre e comunque. Come se avessero scritto nel dna che la loro virilità, che era la forma prioritaria di auto-considerazione e quindi di autostima, fosse necessariamente subordinata al sesso. Le dimensioni del pene, la quantità di amanti avute, le esibizioni ginniche a letto, che trasformavano in “scopare” il piacere di “fare l’amore”, erano per Anna tutte componenti che li facevano assomigliare più a bestie che ad esseri umani.

La diffidenza verso gli uomini, che negli anni si era sviluppata, l’aveva condotta ad analizzare con scrupolosa meticolosità ogni aspetto caratteriale e non, di coloro che volevano conoscerla, incontrarla per un caffè, uscire per una cena.

Chissà questo quanto tempo ci metterà per arrivare al dunque”, diceva a se stessa al primo incontro. Altri aspetti, meno dichiarati, ma parte dell’insieme con cui incasellava le piccole tessere del mosaico che aveva di volta in volta di fronte, la inducevano a fare previsioni di vario genere, quasi sempre azzeccate.

Se l’anulare della mano sinistra aveva un leggero restringimento in corrispondenza della piccola area dove normalmente si dispone una fede nunziale, era più che evidente che quell’anello fosse stato tolto di li a poco prima. Se ogni specchio, vetrina, cristallo di auto, era occasione affinché il suo accompagnatore occasionale cogliesse la propria immagine riflessa, con sguardi insistenti oppure veloci, furtivi, seppur costanti, era segnale di una vanità incontrollabile. Se gli occhi del maschio di turno non riuscivano a limitarsi a ricambiare il suo sguardo ma, per una necessità incontrollabile o, peggio ancora, per una voluta sfacciataggine, scivolavano sulle sue tette, sulle sue gambe, sul suo culo, che non venivano solo accarezzati, come nel lieve pudore di chi passa e poi va via, ma venivano squadrati, immaginati, valutati ed infine, seppur virtualmente, palpeggiati, erano indicazione di quell’appetito sessuale malato di coloro che scopano anziché fare l’amore.

Allo stesso modo non vedeva di buon occhio gli uomini che pretendevano di pagare il conto:. “se io esco con te e tu non sai nulla di me, perché mai quella che tu definisci “galanteria” dovrebbe darti un credito nei miei riguardi che nessuno ti ha concesso?. Non è forse normale che chi da prima o poi pretende?”

Se proprio fossi costretta a scegliere preferirei un uomo che mi dice subito se vuole fare sesso e perché, piuttosto che quelli che fanno il giro partendo da molto lontano. C’è sempre di mezzo una moglie che è diventata come una sorella.” pensava “ed io non ho nessuna intenzione di fare la fine di quelle povere donne che sposano mariti di questo stampo”.

E non era solamente teoria. Tanti anni prima, quanto basta per non ricordarsi più quanti ne fossero trascorsi, mentre era in attesa della metro in una delle fermate della linea rossa, le si era avvicinato un ragazzo molto carino che a bassa voce le aveva sussurrato: “io due colpi te li darei con tutto il cuore”. Per nulla intimidita gli aveva risposto “anche io”.

Così aveva finito per non salire più sul mezzo. Aveva saltato la sua lezione di diritto canonico e con quello sconosciuto si era infilata nel primo albergo incontrato per strada, mentre una pioggia battente fondeva le loro mani, strette in un’improvvisata presa colma di aspettative.

Questa era la parte di Anna più recondita, diversa da quella ufficiale, istituzionale, che la costringeva, quale Dirigente Scolastico di un Istituto comprensivo fatto di scuole elementari e medie inferiori, a comportarsi come un funzionario integerrimo, volenteroso, pieno di idee e buona volontà.

Era stato abbastanza facile vincere il concorso bandito dal Ministero, dal quale erano trascorsi oramai ben tredici anni. Le prove, due sessioni di scritti e due di orali, l’avevano vista arrivare seconda su una rosa di circa cinquecento candidati. Questo le aveva consentito di scegliere la sede di assegnazione, sulla quale si era doviziosamente informata prima di decidere. Non era essenziale la distanza, a quella c’era sempre rimedio, ma lo era fama del Preside, suo diretto superiore, al quale avrebbe dovuto rispondere ogni giorno dell’anno, dando esecuzione alle sue idee ed assumendosene, conseguentemente, le responsabilità.

Per questo, alla fine, aveva deciso di cambiare città, finendo per scegliere l’Istituto Gramsci. Ottocento alunni suddivisi una cinquantina di classi spalmate in quattro sedi diverse, alcune delle quali in regime di convitto. Il suo lavoro non la portava ad avere a che fare con gli alunni se non sporadicamente, quando uno sbaglio di stanza o qualche necessità particolare, come un’improvviso malessere che li obbligava a chiamare i genitori, li faceva transitare dagli uffici di segreteria.

La Preside era una brava donna con sani principi. Una con cui “si poteva lavorare”.

Quando terminava le sue giornate di lavoro, cinque mattine ed un giorno intero, per un totale di sei giorni ogni settimana, prendeva la sua piccola Opel e tornava a casa. Condivideva un quadrivani posto al terzo piano di una delle tre palazzine che componevano l’unico residence della strada, con Francesca Cascino, un’impiegata del Ministero della Pubblica Istruzione, cinquantaquattrenne, dichiaratamente lesbica. Si conoscevano da anni. Anna aveva presentato la documentazione necessaria all’assunzione portandola negli uffici del Provveditorato agli Studi. Era una mattina di maggio ed aveva indossato un vestito giallo a maniche corte con disegnate delle piccole farfalle stilizzate. Quando dall’ufficio del protocollo l’avevano dirottata al primo piano dell’austero palazzo, uno dei più vecchi del centro storico, si era trovata davanti Francesca che indossava il suo identico vestito.

Si erano messe a ridere divertendosi all’idea che qualcuno potesse pensare al loro abito come una nuova divisa imposta alle impiegate ministeriali. Nel presentarsi Anna aveva dichiarato di avere 26 anni ed era rimasta stupita nel sapere che Francesca ne avesse solamente 41 anni, dimostrandone almeno cinque di meno. Bassina, un po robusta, occhi e capelli castani, ricadenti sulle spalle, Francesca aveva un naso sottile, elegante, e due seni prorompenti che si intravedevano attraverso l’ampia scollatura. Indossando lo stesso vestito Anna notò come lei, a differenza della donna che aveva di fronte, avesse deciso di abbottonare tutti i bottoni, assumendo quell’aspetto da collegiale che più le si confaceva.

Parlando Anna aveva detto a Francesca che il suo più grande problema di li a breve, sarebbe stato quello di riuscire a trovare un’abitazione con posto auto e in un piano non eccessivamente alto, per via delle sue vertigini e della paura per gli ascensori.

Francesca gli aveva risposto parlandole di coincidenze e di quanto le ritenesse importanti nella sua vita. Prima il vestito ed adesso questo discorso della casa da trovare in affitto. Proprio Francesca, appena il giorno prima, aveva messo sul giornale locale degli annunci, la disponibilità a dare in locazione metà del suo appartamento. “Ed arrivi tu. Ed ho scritto solamente ragazze con un impiego fisso…”.

…e che indossino un vestito giallo con farfalle rosse e fuxia…” aveva ribattuto Anna ridendo e giocando sull’idea delle coincidenze.

Si erano piaciute da subito e ad Anna non fu difficile ritenersi più che soddisfatta delle due stanze che Francesca le metteva a disposizione ad un prezzo basso ben oltre le sue aspettative.

Si era trasferita quindici giorni prima di prendere servizio e la loro convivenza durava oramai da dodici anni nove mesi e tredici giorni.

Una sera, all’inizio dell’estate, quando le giornate erano abbastanza lunghe da consentire di poter leggere con la luce naturale fino a tardi, Anna che viveva da un paio di mesi nel nuovo appartamento, si era seduta in terrazza, assorta nella lettura delle pagine dell’ultimo libro di Osho, del quale collezionava immagini, discorsi ed anche copie di libri in lingua originale. Fu chiamata da Francesca, che si trovava all’interno dell’abitazione.

Era nuda, distesa nel letto con una pomata nella mano destra.

Gliela aveva porta chiedendole :“mi fai un massaggio? Credo mi sia venuto il colpo della strega”

Anna aveva annuito, accorgendosi di provare un’emozione che conosceva, un misto di eccitazione e scombussolamento. Mescolando vergogna, immaginazione, pudore, desiderio di libertà a senso del dovere, aveva iniziato a massaggiarle la schiena.

Dopo un poco Francesca si era girata dall’altra parte, mostrandole il petto e chiedendole di continuare il massaggio. I loro sguardi si erano incrociati e quando Anna, arrossendo, aveva allungato le sue mani verso i seni, Francesca l’aveva tirata a sé.

Quando il bidello fu entrato nella sua stanza per dirle che c’era un signore che desiderava parlarle Anna non pensò a Giuseppe, pur avendogli dato appuntamento per quella mattina. L’auto non ne aveva voluto sapere di mettersi in moto ed era stata costretta a prendere la metro. Stanca e svogliata aveva trascinato le gambe molli, un passo dietro l’altro, verso il binario del treno. Viaggiare con i mezzi pubblici la stressava, avendo fatto questa vita per diversi anni ai tempi dell’Università. Per compensare l’umore funereo si era munita di libro, iPad e cuffie, determinata ad isolarsi dal mondo, ignorando i terribili compagni di viaggio ed evitando categoricamente di leggere la posta o, peggio ancora, lavorare. Seduta da sola in uno dei posti all’estremità del vagone aveva poggiato la borsa con il notebook e le altre sue cose sul sedile di fronte in modo disordinato. Non aveva voglia di parlare con nessuno e quel giorno per esserne certa aveva indossato anche gli occhiali da sole, continuando a tenerli per tutto il tragitto, nonostante fossero le sette e il continuo susseguirsi di gallerie rendesse la luce della carrozza piuttosto tenue.

Quando Giuseppe fu entrato nella stanza lo riconobbe subito, ancor prima che fossero fatte le presentazioni. Quell’uomo era esattamente come se l’era immaginato.

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